Il j’accuse di B’Tselem: “Noi israeliani risponderemo del genocidio dei palestinesi”

La denuncia dell'Ong
Yuli Novak, direttrice di B’Tselem: «Chiunque sia cresciuto all’ombra della Shoah si è chiesto “Come hanno potuto persone normali permettere che accadesse?”. Ora di fronte a questo genocidio tocca a noi rispondere»

B’Tselem è la più autorevole Ong israeliana e da anni monitora e documenta lo stato dei diritti umani nei Territori palestinesi. B’Tselem è universalmente ritenuta fonte più che attendibile nelle sue denunce, per i suoi dettagliati report. B’Tselem è la prima associazione israeliana ad aver scritto che quello in atto a Gaza è un genocidio. Di B’Tselem Yuli Novak è la Direttrice esecutiva. Le sue riflessioni, il suo possente j’accuse, rappresentano un documento di eccezionale, sofferta, rilevanza.
Scrive Novak su Haaretz: “La domanda ‘Può davvero essere quello che sembra?’ comincia a tormentarci. Mentre moltissime persone in tutto il mondo conoscono già la risposta, qui in Israele la gente fatica ancora a trovare una risposta. Forse perché si rendono conto che la verità mette in discussione le fondamenta di ciò che pensavamo di essere e di ciò che volevamo essere, e ci costringe anche ad affrontare verità molto difficili sul futuro. Ma il prezzo da pagare per non vedere è molto più alto di quello da pagare per riconoscere la verità”. E la verità porta direttamente a quel termine scioccante. Annota Novak: “Il termine ‘genocidio’ descrive qualcosa di difficile comprensione. Per gli israeliani della nostra generazione, è un incubo lontano, qualcosa che appartiene a un altro luogo e a un altro tempo, qualcosa che accade su altri pianeti. Chiunque sia cresciuto all’ombra della Shoah si è chiesto almeno una volta nella vita: ‘Come hanno potuto le persone normali andare avanti con la propria vita e permettere che accadesse tutto questo?’. Ma, in un terribile scherzo della storia, oggi siamo noi, le persone che vivono qui, a dover rispondere a questa domanda. Da quasi due anni, i nostri governanti e gli alti ufficiali dell’esercito invocano l’affamamento, la liquidazione, la distruzione della Striscia di Gaza. E per vendetta. Hanno dichiarato fin dall’inizio che questo era il loro intento e poi hanno inviato e guidato l’esercito israeliano a compiere proprio questo. Questa, in una frase, è la definizione di genocidio: un attacco deliberato e coordinato contro persone appartenenti a un determinato gruppo, non per ciò che sono o per ciò che hanno fatto come individui, ma con l’intenzione di distruggere il loro gruppo. Ma non siamo riusciti a sentire ciò che è stato detto esplicitamente. Ci siamo raccontati una storia che permettesse all’anima di sopportare le atrocità, così da non doverci assumere le nostre responsabilità e tenere a bada il senso di colpa e il dolore. Siamo diventati quelle persone comuni che continuano a vivere la propria vita, lasciando che tutto questo accada”.
Confessa la Direttrice di B’Tselem: “Sto cercando di ricordare il momento in cui ho realizzato che qualcosa nella realtà era cambiato, che eravamo in un altro mondo. Credo fosse due mesi dopo l’inizio di quella che allora chiamavo ancora ‘la guerra’. Si trattava di persone che lavoravano con l’organizzazione da anni, veri partner e importanti difensori dei diritti umani, che ci raccontavano dei loro parenti sepolti sotto le macerie, della loro incapacità di proteggere i propri figli e di una paura paralizzante. Da quel momento in poi, per loro è iniziata una serie di eventi che forse un giorno verrà raccontata, o forse no, perché è una storia banale: in fin dei conti, è solo la storia di tre persone su milioni che hanno avuto la fortuna di sfuggire all’inferno. Ma è stato proprio questo, gli sforzi inconcepibili per salvare persone innocenti in cambio di un riscatto in contanti a testa (il valore di un palestinese era di circa 20.000 shekel, quello di un bambino un po’ meno), a farmi capire che le regole erano cambiate. Quella è stata la prima volta. Da allora, questa sensazione mi ha colto più volte: ricordi di altri mondi in cui non sono stata, ma di cui ho sentito parlare. Storie di luoghi in cui l’umanità è stata cancellata, in cui le persone sono state abbandonate a se stesse. Sono state superate altre linee rosse e ci sono stati sempre più momenti in cui l’incredibile è diventato realtà. Tutto ciò che non pensavamo potesse accadere è accaduto: decine di migliaia di persone uccise, sfollamenti forzati di massa, città intere ridotte in macerie, edifici crollati sulle teste dei loro abitanti, fame, la distruzione dei sogni per il futuro e la quasi totale cancellazione della speranza. E i bambini. Dio mio, quanti bambini?”.
Nessuno può sfuggire alla propria coscienza. Né cavarsela con l’affermare “non sapevo” o scaricando tutte le colpe sui “solutori finali” che governano Israele. Troppo semplice, troppo falso. Perché, rimarca Novak, “Il genocidio non può avvenire senza che gran parte dell’opinione pubblica vi partecipi, lo sostenga o chiuda un occhio. Questo è parte della tragedia: quasi nessun gruppo che ha perpetrato un genocidio ha compreso in tempo reale il significato delle proprie azioni. Viene sempre presentato come una storia di autodifesa, di mancanza di alternative, di qualcosa che le vittime si sono causate da sole. In Israele, la versione accettata è che tutto sia iniziato il 7 ottobre con l’attacco di Hamas, dopo il quale tutto ciò che è accaduto a Gaza è apparentemente necessario e giustificato in nome della difesa di Israele. L’atrocità dell’attacco di Hamas alla Striscia di Gaza quel giorno non deve e non può essere sottovalutata. Si è trattato di un attacco criminale, rivolto principalmente contro i civili, che ha causato innumerevoli crimini orribili che la mente umana non può sopportare. Un’intera società ha vissuto un trauma orribile e improvviso che ha risvegliato profondi sentimenti di minaccia esistenziale”. Sentimenti che quel maledetto, tragico, sanguinoso 7 ottobre 2023 ha radicalizzato, ma che non nascono quel terribile giorno.
Annota Novak: “Tuttavia, anche se il 7 ottobre ha rappresentato un fattore scatenante significativo, erano necessarie altre condizioni preesistenti per consentire il genocidio e trasformarci in una società capace di cancellare l’umanità delle persone, perdendo ogni capacità di empatia e arrivando a considerare ogni bambino come un membro di Hamas e ogni casa come una cellula terroristica. Per diventare una società che perpetra un genocidio sono stati necessari decenni di vita sotto un regime di apartheid e occupazione, durante i quali sono state gettate e rafforzate le basi governative ed emotive della supremazia, dell’oppressione, della separazione e della paura. Per anni, israeliani e palestinesi hanno vissuto separati, perché ci era stato insegnato che questa era l’unica modalità di convivenza possibile. Negli ultimi decenni, questa separazione e questo allontanamento hanno raggiunto il loro apice con l’imposizione di un blocco totale a Gaza. Gli abitanti di Gaza, gli esseri umani che vi vivono, sono scomparsi dalla mente degli israeliani. Sono diventati persone che si potevano bombardare indiscriminatamente ogni pochi anni, uccidendo centinaia o migliaia di loro, senza doverne rendere conto. Sapevamo che milioni di persone a Gaza vivevano sotto assedio. Conoscevamo Hamas e sapevamo chi lo finanziava. Avevamo persino visto le foto dei tunnel. Col senno di poi, sapevamo tutto. C’era solo una cosa che non avevamo preso in considerazione: che sarebbero riusciti a sfondare il muro e a raggiungere noi. Il 7 ottobre non è stato solo un fallimento dell’esercito, che non è riuscito a proteggere i civili israeliani. Il 7 ottobre è stato, prima di tutto, un fallimento della società e dell’immaginazione di chiunque abbia preferito credere che fosse possibile mantenere la violenza e l’oppressione dall’altra parte della recinzione, mentre noi continuavamo a vivere in relativa pace da questa parte. Questa rottura è avvenuta mentre Israele era governato dal governo di estrema destra più radicale della sua storia, composto da persone per cui distruggere Gaza è il compimento di un antico sogno. Così, nell’ottobre del 2023, si sono allineate tutte le stelle dei nostri incubi. Per opporsi al genocidio e combatterlo, è necessario comprenderlo. Il rapporto pubblicato da B’Tselem sul genocidio in atto è suddiviso in due parti. La prima parte descrive come viene commesso il genocidio, combinando pratiche di uccisione di massa, distruzione delle condizioni di vita, disgregazione sociale e fame, il tutto alimentato da un incitamento sfrenato al genocidio proveniente dall’interno di Israele. La seconda parte descrive le condizioni che hanno permesso al regime israeliano di diventare genocida. Questa analisi è stata condotta congiuntamente da palestinesi ed ebrei israeliani. Ci ha spinti a vedere la realtà in modo simile. In questa realtà condivisa c’è la storia. C’è il trauma nazionale degli ebrei, ma anche il 7 ottobre. Tuttavia, nessuno di questi fatti contraddice gli altri. Anche se la verità è difficile da accettare, non c’è altra scelta”.
E la verità che fa male è questa: “Un fatto – sottolinea Novak – è che i palestinesi, come gruppo, sono sempre stati considerati inferiori dal regime israeliano. Alcuni di loro sono stati riconosciuti come cittadini e hanno goduto di diritti aggiuntivi rispetto agli altri. Altri avevano meno diritti e il gruppo più piccolo è stato completamente abbandonato a una violenza incessante. Non dobbiamo continuare a guardare la realtà attraverso la falsa narrazione che ci ha condotto a questo punto: una narrazione di separazione, guerra perpetua e di una nazione che vive da sola. Il genocidio, in quanto attacco all’umanità stessa, ci impone di guardare alla realtà dal punto di vista degli esseri umani e di lottare insieme per ciò che significa essere umani. Dobbiamo riconoscere che questa storia è la nostra, la storia delle persone che vivono in questo luogo. È una storia lunga, dolorosa e sanguinosa che ora ha raggiunto un punto estremo, un abisso che non avremmo mai immaginato di raggiungere. E non è ancora chiaro quando toccheremo il fondo. Persino noi, gli attivisti per i diritti umani di B’Tselem che vivono, studiano e denunciano da anni la violenza di Israele contro i palestinesi, non avremmo mai immaginato di dover affrontare il crimine di genocidio. Dopo mesi di ricerche approfondite, in cui abbiamo analizzato ogni cosa più e più volte, abbiamo sperimentato in prima persona il modo in cui la mente rifiuta i fatti, come un veleno che il corpo cerca di espellere. Ma ora sappiamo che il veleno è già dentro di noi. È reale e sta inondando israeliani e palestinesi che vivono qui con una paura e una perdita inconcepibili. Il governo israeliano sta compiendo un genocidio. E nel momento in cui questa consapevolezza si fa strada, sappiamo già cosa succederà dopo. Ci abbiamo pensato tutta la vita, ogni volta che ci siamo chiesti: ‘Cosa avrei fatto se fossi stato lì, su quell’altro pianeta?’ E la risposta è una sola: avremmo fatto tutto il possibile per fermare il genocidio”.
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